Non credevo mi potessi lasciare un martello nella testa, mi mettessi in un universo vuoto.
Mi hai piantato qui, così.
Cazzo, potevi aspettare. Opporti a Dio: Lui sa solo farci andare in polvere, metterci le pietre in faccia; potevi suonargli la tua musica nel cervello, farlo svegliare dal buio della sua stanza; potevi dirglielo che la smettesse di essere un’entità ben truccata, il vero clandestino della vita.
Noi alla fine non vogliamo saperne nulla dei suoi mirabili disegni, dei suoi vari esiti spirituali, del suo equilibrio tra terra e cielo. Lui vuole farci andare fuori di senno, e non guarda se ci riempiamo di baci se ci abbracciamo perché siamo bisognosi di vivere. Lui getta via i nostri cuori, le nostre dita, le nostre braccia e tutto il resto nel grembo della morte: Lui ha sempre un’impronta pesante quando si fa sentire.
Potessi gli tirerei una scarpata, nel pieno della fronte. E sarei implacabile. Perché Dio merita anche la nostra rabbia. Gli scompiglierei le nuvole per coglierlo nudo, senza l’elmo del giustiziere.
Dio vuole far parlare di sé, e ci uccide. È furbo, pazzo. Sta tutto chiuso, sconciato; ci appare come un dolce frutto, un essere che profuma d’amore. Lui è la bestemmia, il rompiballe.
Goran, stanotte ci sarà qualcuno che veglierà la tua forma secca. E verranno altri che ci pianteranno fiori. Altri non sapranno a chi rivolgersi per farsi ascoltare da te. Ci saranno quelli che ti chiederanno di farti più in là, per fargli posto al tuo fianco. Stanotte, Goran, apriranno i recinti perché è morto il custode. E allora le canaglie, che sanno solo ingannare, trionferanno.
Dalla tua tomba fai uscire il tuo seno, quel solo fiore con i muscoli. Fammi ancora una volta sorridere con un suono gigantesco, fammi ancora comporre un verso per una canzone.
Dio, domani o quando la legge del trapasso indica , ti farà ballare, Goran, e suonerà la chitarra. Ma non saprà essere vivace. Perché non ti somiglia. Proprio per nulla.
Ti supplico, Goran, torna indietro.