Alessandro e Fabio, due cuori fuori dalla Chiesa

 

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Le piumette della lavanda ci lasciavano correre, e fare polvere. Come volessero farci abbandonare ogni sorta di ordine, il povero pensiero del nostro giudizio.

Ed eravamo germogli contagiati dalla meraviglia, e stavamo maturando come spighe al sole, ci stavamo spingendo in avanti verso una semplice purezza.

Saremo stati in cento, e davamo l’aria al campo, alle fessure delle pietre che ci sono state infilate nel cuore, e davamo sorrisi e la certezza dell’amore all’amore. C’era una voglia incessante di precipitare fino in fondo a quella bellezza sentimentale, di assistere alle lacrime su quei teneri nomi, e avremmo mandato in fumo finanche il nostro avvenire la nostra vita quotidiana.

Saremo stati in cento a evitare i ricci del conformismo, a scardinare la nostra solitudine, il frastuono delle anime dolorose.

E ci siamo trovati come fiori schiusi, deboli, a piangere per quei due cuori lasciati fuori da una chiesa, che avrebbero meritato le labbra di Cristo in bocca.

Eravamo muti, in una festa muti, come in una luce d’eterno, incantati e senza la paura di trovare ombre e lupi intorno a noi. E loro iniziavano a essere dappertutto, belli come due esseri volanti, e cadevano come petali come farfalle in coppia come due innamorati come due veri amici come due soldati due angeli che si capisca due devoti.

Erano due sposi, e si tenevano per gli occhi, e la luna stava diventando monocroma, un gioiello bianco.

Alessandro e Fabio ci avrebbero passato la vita a scambiarsi gli anelli a rimanere in quel tempo di spuma e splendore, a morire per quell’amore.

Ci avrebbero legati al petto e pizzicati per farci rimanere svegli dentro al loro sogno.

Io c’ero e li ho visti, Alessandro e Fabio, diventare rosso colore, ad asciugare  le parole perfide e violente che li hanno toccati, che li hanno offesi, a far diventare ogni sillaba della loro memoria confetto coniugale.

Io c’ero e li ho visti trionfare con i loro volti infiniti. Da Cupido e dal cielo perdutamente rapiti .

E sono stati il mio nettare, la libertà, forse anche  il mio paradiso in questo inferno.

(Michele Caccamo)

Pubblicato da michele caccamo

Poeta e scrittore contemporaneo, per fortuna ancora vivente

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