Culpa sibi admissa, Lapo Agnus FIAT *

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La finestra di fronte a La Stampa era sempre accesa, come un occhio della luna. Patrizia sapeva apparire come una ricamatrice seduta al telaio della vita: ci diventava matta a rammendare cuori: dicono fosse una cerva, che sapesse togliere i sudari dai corpi in maniera agile e veloce.

Dietro al vetro, Lapo, guardava alcuni uomini affaccendati a incolonnare notizie, e aveva la sensazione di sentire le rotative, di sentire il rumore della delusione dentro al suo orecchio. Doveva esserci anche casa sua, lì dentro. Ma lo avevano chiuso fuori.

E Lapo sostava nella casa di fronte: quella delle farfalle e delle estasi, della pace dai rimproveri; quella dei balsami sui chiodi nella pelle.

E Lapo diceva del suo talento, troppo irregolare per la sua famiglia. E sudava a nominare sua madre: ne aveva paura; ripeteva che tutti i bambini hanno avuto aggiustato un cuscino, e sentito cantare una favola, hanno avuto un bacio.

Lapo aveva avuto molto freddo, senza che nessuno se ne accorresse.

Lapo lo sapeva che per farsi sentire doveva farsi male.

Chiuso fuori.

Lo sapeva che sarebbe stato pericoloso spostarsi dalla linea dell’ossequenza. Contestare la severità dell’Avvocato anche da morto; che se lo avesse visto dalla sua finestra avrebbe avuto un gesto di collera.

E Lapo pensava a Giorgio, chiuso fuori e poi lasciato morire in una clinica psichiatrica. E pensava a Edoardo che ha preferito essere un uccello in picchiata, perché quella vita gli bruciava intorno.

Chiuso fuori.

E pensava a John che aveva la spuma dell’oro nel letto, che gli era ostile: quel ragazzo aveva anche il cuore inamidato, oltre al sorriso.

Lapo, lo sapeva che non appena possibile sarebbe stato seminato nel vento, si trattava di tempo, di occasioni.

Chiuso fuori.

Anche dalla finestra del Notaio, con dentro John sua madre sua nonna.

Chiuso fuori.

Lapo lo sapeva che per farsi sentire doveva farsi male.

E così ha aperto la sua caccia al tormento; sempre più debole e confuso ha lasciato caricassero sulla sua schiena ogni fascio di rovi.

Si è fatto macellare, scannare da ogni perversione, da ogni vizio.

Ha deciso di entrare ovunque gli avessero aperto, anche in quelle case che effondevano il fumo dell’inferno. Ha deciso di perdere il suo genio a vantaggio del suo squilibrio, di farsi sciogliere nel corpo un’invincibile forza. Ha deciso di alimentare da solo la corrente dell’amore, di concedersi un onore nell’infinito.

Chiuso fuori.

Lapo lo sapeva che per farsi sentire doveva farsi male.

*(attribuita la colpa a se stesso, Lapo sia fatto agnello)

Pubblicato da michele caccamo

Poeta e scrittore contemporaneo, per fortuna ancora vivente

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