Fiocchi di mani ad Aleppo, per Anas al-Basha

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E i civili morti dicono che dalle tombe neanche si sente, il rumore degli aerei. Che sotto terra non riluce per niente la polvere da sparo. Che loro sono nel lato successivo del creato, opportunamente opposti alla nostra vita. Alla nostra guerra.

Neanche Anas Basha voleva sentire, e credeva si potessero lasciare delle impronte tenere in mezzo alle macerie. Lui credeva che l’amore stesso potesse respingere al  cielo le bombe. Lui credeva bastasse quel suo naso rosso per allarmare tutti i cuori dell’umanità.

Raccontano saltasse tra le rovine come un matto, o qualcuno che volesse scrivere, sulle pagine di quella storia, l’allegria. E che i bambini gli tenevano la coda, consapevoli fosse uno straccio di speranza. E che lui stava al centro dei loro fiocchi di mani, come davvero un giglio.

Anas Basha era felice per gli assalti e i baci, la sua anima scintillava come un faro in mezzo a quelle case sgozzate, e sembrava che ogni sua risata riportasse la parola ai muti popoli occidentali. E sembrava fosse possibile che tutte le schiene, mozzate a metà, si rimettessero dritte per protestare contro un genocidio.

Anas Basha era l’uomo appartenente alla bontà, era l’esorcista del male. E ha voluto esserci nella nostra riunione terrena, per farci capire quanto essa sia rischiosa e fragile. Per farci capire quanto momentanea sia la nostra presenza.

Lui i civili morti li conosceva tutti, e li nominava come le vere forze tra gli uomini.

Portava con sé una manciata di terra e fiori, e ne faceva nido e ne faceva ghirlande. Lui tracciava l’armonia e pure il grido del suo popolo.

E sembrava ogni volta chiedere: cosa siamo adesso noi, con la fame nella bocca e l’angoscia dentro al cuore, cosa di altro siamo se non carne per un sepolcro.

E intanto i bambini erano affamati delle sue risate, l’univa via veramente divina per la conservazione.

E intanto il cielo gocciolava esplosivi, massicce bombe come fossero mandorle calde: aveva nel volo le unghie del Potere, e quelle graffiature dissanguavano già prima della morte.

E intanto le bruciature nella pelle erano un anticipo. E poi saltavano in aria i paletti, e le case e le braccia e le caviglie.

E da qualche parte le banche oliavano i pallottolieri. E da qualche altra parte i russi e gli americani vedevano tutto.

Anas Basha dicono sia crollato come una rovina.

E che nessuno sia riuscito a tenere la sua testa tra le mani, perché non è rimasta.

E che nessuno sia riuscito a sostituire il suo naso rosso, perché non è rimasto.

E che nessuno riuscirà a imitare il suo strillo acuto, dopo quell’esplosione nel petto.

Pubblicato da michele caccamo

Poeta e scrittore contemporaneo, per fortuna ancora vivente

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