È come trovarla accanto alle pale dei mulini, alle nostre volontà consumate. Siamo uomini stanchi. Ci scendono nelle carni le ortiche, e le pietre cadono come fossero gridi mortali: la nostra vita piange per assuefazione al dolore: è finita in un universo di solitudini, di esclusioni e di siringhe avvelenate.
Noi siamo soltanto uomini in guerra, dove sarà mai la fine?
Lei lo sa che siamo limacce messe sulla terra del silenzio, e che non abbiamo sonagli sulle schiene e neanche un raggio felice negli occhi. E che non scendiamo mai nel giardino bellissimo dell’amore: quello delle invocazioni liete e delle gioie messe tutte d’intorno.
Fiorella non si rassegna. Ha ogni nostro figlio nel petto e le brilla la voce e ci riserva un asilo politico nel cuore. Taglia, cuce, ricama medaglie di decoro per ogni ripudiato. E ogni volta si inventa una guardia civile, o all’improvviso quel chiaro rosso della rivoluzione.
No, ai suoi occhi non tutto è terminato. Perché per lei anche se la paura è piena, per come vuole la regola di un buio freddo e spaventoso, c’è sempre una possibilità di allungare le radici verso l’insurrezione. Fossero necessari cento anni di coltelli.
Fiorella è una goccia nel sangue, e divora cantando il nostro spavento; come una parte scelta apre i nostri mattini e la luce alle lune che verranno.
Combattente è il corpo del gigante, una coda di seta che risale verso il volo. Un’anima di neve, così finemente detta.
Stanotte ascolto Fiorella, e tremo come fossi un grappolo secco e debole.
Per calmarmi penso: chi ama si ama.
Ma non è così, se immagino le vie deserte e la povertà e i perfetti sconosciuti che incontro. Se immagino di non esserci più con garbo nella mia vita, se chiedo di lasciarmi alzare, e con la mia migliore voce virile urlare “il mio volto, ecco il mio volto mangiato dalla vostra indolenza e dai vostri orridi interessi. Lasciate suonare il corno del mio ultimo fiato. Lasciatemi andare, via. La mia insignificanza è come la cenere. L’ultima cenere.”
Riprendo ad ascoltare, e con Combattente nascono le rose e la voglia di rincorrere un sogno: quel fausto desiderio di un sole una felicità di non vedere l’ora di essere sereni. Affinché nulla sia più prigione, nulla più pena.
E penso, chi ama si ama.