Vi era stata in quel mese di ottobre un’aria impura; neanche il cielo riusciva a trovare il più alto firmamento, e l’ovunque si faceva sempre più scuro.
Andrea era da qualche giorno un angelo dormente, per niente ignaro del suo prossimo destino e già senza il suo canto. Aveva gli occhi fermi e nello sguardo nessuna misura.
Non vi sarebbero state più scuse valide per allontanare la morte: in quegli attimi è il Dio del Tempo, l’oltracotanza imperiosa, e schiude il suo respiro nelle orecchie e negli occhi ancora e poi nel cuore: la Morte ha il suo benfatto congegno nel fiato.
Chi lo guardava dal profilo non sapeva ancora crederci: Andrea sembrava giocasse puntando il naso verso il soffitto come un uomo, o possibilmente un uccello, che voleva lanciarsi in Alto e ben prima che lo facesse la sua Anima. Erano vani i richiami e le preghiere, di chi ancora credeva bastassero a cambiare la sorte.
In un giorno marchiato dal diciassette Andrea deponeva il suo corpo stanco, per spostarsi verso l’arco maestoso dell’Eterno.
Il bolero, ed era meno di un mese prima, avanzava sul palco, con la stesso tempo di un coltello pronto a recidere. E Andrea, lì, sorrideva alla vita, e fino allora alla speranza, dolce e magro come una cavalletta.
Un riepilogo finale, un vero atto d’amore verso la Sardegna, verso l’Umanità, verso sua Moglie.
La sua voce arrivava nel fondo dei nostri sentimenti, come una cura capace di risanare e di rendere la Pace. E si avviava verso le scalate delle note altissime ancora una volta senza alcuna caduta.
Lui, che aveva ricevuto in gola la gradazione spirituale e forse la giusta tonalità dell’Universo, sarebbe diventato, nel vento delle cime azzurre, il nostro gabbiano.
Andrea cantava i bambini della guerra, i riposi malandati per l’assenza dell’amata; cantava di quell’Hotel nel Supramonte dove è mancato il riguardo per due innamorati che si sapevano soltanto tenere per mano. E ancora cantava la ninna nanna del fuoco sardo, ascoltando, senza farsi scoprire, il suono delle sue cellule morte. E teneva alla fine le rose per il gambo, quasi a segnarle testimoni per la sua sepoltura.
Quel ventidue settembre era un Uomo sereno, ma già lontano da noi.
Andrea Parodi è morto il 17 Ottobre del 2006.
Il suo ultimo concerto è avvenuto il 22 settembre del 2006